Questa mattina alle ore 11:30 ci sono stati i funerali delle sei vittime di Kabul. Non ho acceso il televisore però. Anzi, ho preso prima Argo e sono andata a fare un giro, quindi tornata a casa, ho preso Dea e con l'autobus siamo andate a prendere un caffè lontano dal mio quartiere.
Non cel'ho fatta. Avrei pianto di nuovo. Lo so, mi conosco. Non sarei riuscita a seguire la diretta Tv dei funerali di Stato senza piangere come una fontana.
Eppure, la mia testa era li. Il ricordo lontano del funerale dei caduti di Nassyria lo porto ancora nella mente, quindi sapevo che tutto sarebbe stato uguale. Ancora una volta. Un bagno di folla fuori la basilica, i picchetti d'onore all'arrivo ed all'uscita dalle bare, i tricolori appesi alle finestre. Ironia della sorte, l'ultima volta che li ho visti fuori così fu nel 2006 quando l'Italia vinse i mondiali. In quanto a patriottismo lasciamo molto a desiderare.... E le Frecce Tricolori sopra i cieli di Roma... E poi lacrime, tante lacrime e giornalisti, tanti giornalisti televisivi mimetizzati tra la folla per carpire volti e sentimenti, con le loro domande idiote: "perchè sei qui?" o "cosa prova il tuo cuore davanti questa immensa tragedia?".
Ho visto il resoconto al TG delle 13:30, e mi è bastato per piangere fino a domani.
Ciò che mi ha straziato il cuore sono le mogli ed i figli dei caduti. Una mamma ormai sola, un bimbo ormai orfano di padre, che crescerà con la sola consapevolezza di aver avuto un padre morto in guerra. Una guerra che non ci appartiene. Ma sono egoista. Lo so. E lo sapete quando ho realizzato di esserlo? Quando mi sono ricordata di un signore americano venuto in vacanza a Roma, che mi chiedeva indicazioni per recarsi a Nettuno: voleva mostrare a suo figlio dove era sepolto il nonno, ossia presso il Cimitero Militare Americano. Morto per salvare l'Italia.
Allora ho pensato che non esiste una guerra combattuta da un solo Stato. Esiste la Guerra, e basta. Ed ovunque essa sia, è giusto che vi siano persone pronte a difendere i più deboli, come siamo stati difesi noi, come furono difesi i miei nonni ed i genitori dei miei nonni.
La consapevolezza di essere orgogliosi del proprio ruolo, del proprio dovere e del proprio mestiere è l'unica cosa che davvero conta.
Mi rimetto anche questa volta ai quaotidiani online per postarvi la cronaca di questo giorno di dolore:
"ROMA (21 settembre) - Tra applausi e sventolii di tricolori e al grido “Folgore, Folgore” con le frecce Tricolori che disegnavano una croce nel cielo sono uscite dalla basilica di San Paolo fuori le Mura le sei bare dei parà caduti in Afghanistan, dopo l'ultimo addio con la cerimonia funebre. Tanta la commozione, il dolore che si leggeva sui volti dei familiari come su quello di tutto il mondo politico italiano schierato nelle prime file. Il saluto del piccolo Martin, figlio del tenente Fortunato alla bara del papà, che ha toccato il cuore di tutti. E non sono mancati i momenti di tensione quando un uomo salito sull'altare ha urlato pace subito e alla fine della cerimonia quando dalla folla si è levato il grido: «quanti morti ancora?».
Il corteo funebre. Dopo il bagno di folla di ieri, nel piazzale antistante il Celio pochi cittadini per l'ultimo saluto ai militari. Intorno alle 8:30 due donne, una con una bandiera tricolore sulle spalle, si sono avvicinate all'ingresso dell'ospedale. «Siamo venute anche ieri qui - racconta Francesca, 60 anni di Roma - Quattro ore di fila, anche sotto la pioggia, per dire addio ai nostri eroi. Al passaggio dei feretri applaudiremo perchè questi ragazzi se lo meritano, hanno perso la vita per la libertà».
Anche i quattro feriti di Kabul parteciperanno ai funerali solenni dei sei parà. Il Primo maresciallo dell'Aeronautica Felice Calandriello e i primi caporalmaggiori della Folgore, Rocco Leo, Sergio Agostinelli e Ferdinando Buono, sono rientrati ieri notte in Italia e sono stati ricoverati all'ospedale militare del Celio. Le ferite, tuttavia, non sono gravi ed i militari hanno voluto essere presenti per l'ultimo saluto ai loro compagni.
Le bare avvolte nel tricolore, sono trasportate, su autocarri militari scoperti. All'uscita dell'ospedale Celio un lungo applauso ha salutato i feretri. Il corteo funebre ha percorso via Flavia, che costeggia il Colosseo per poi proseguire in via di San Gregorio, viale Aventino, via Ostiense e raggiungere la Basilica di San Paolo, per le esequie. Lungo tutto il percorso sono state collocate 2.500 bandiere tricolore e molti cittadini hanno accolto l'invito del sindaco di Roma Gianni Alemanno, ad esporre le bandiere italiane alle finestre. Silenzio e commozione hanno accompagnato passaggio del corteo funebre. Molti i negozianti che abbassano le serrande in segno di rispetto. Il traffico romano al passaggio si blocca: tanti gli automobilisti che si fermano, scendono dall'auto e, unendosi ad altri cittadini, applaudono per rendere omaggio alle vittime.
Decine e decine di persone sono arrivate alla Basilica di San Paolo, nella quale sono già schierati reparti militari. Molti di loro hanno deciso di rimanere fuori dalla chiesa e aspettano pazientemente l'arrivo delle bare dietro le transenne: «Per me sono tutti fratelli - dice con la voce rotta dal pianto, Alfeo Cassiani - sono venuto dall'Umbria e c'ero anche ai funerali dei ragazzi di Nassiriya. Questa missione deve finire, portiamoli via questi ragazzi, portiamoli a casa». Accanto ad Alfeo c'è Fernando, 72 anni, che ricorda quando era nell'Esercito, reparto Artiglieria: «Basta - dice - troppi morti, troppe vite spezzate. Che tornino tutti a casa». Tra la folla, anche un docente di Latino e Greco che mostra un tricolore con su scritto 'Quo gloria et fas docunt', ovvero «Dove la gloria e il destino ci conducono». I familiari delle sei vittime sono entrati nella Basilica accolti dagli appplausi (...)
Il corteo funebre. Dopo il bagno di folla di ieri, nel piazzale antistante il Celio pochi cittadini per l'ultimo saluto ai militari. Intorno alle 8:30 due donne, una con una bandiera tricolore sulle spalle, si sono avvicinate all'ingresso dell'ospedale. «Siamo venute anche ieri qui - racconta Francesca, 60 anni di Roma - Quattro ore di fila, anche sotto la pioggia, per dire addio ai nostri eroi. Al passaggio dei feretri applaudiremo perchè questi ragazzi se lo meritano, hanno perso la vita per la libertà».
Anche i quattro feriti di Kabul parteciperanno ai funerali solenni dei sei parà. Il Primo maresciallo dell'Aeronautica Felice Calandriello e i primi caporalmaggiori della Folgore, Rocco Leo, Sergio Agostinelli e Ferdinando Buono, sono rientrati ieri notte in Italia e sono stati ricoverati all'ospedale militare del Celio. Le ferite, tuttavia, non sono gravi ed i militari hanno voluto essere presenti per l'ultimo saluto ai loro compagni.
Le bare avvolte nel tricolore, sono trasportate, su autocarri militari scoperti. All'uscita dell'ospedale Celio un lungo applauso ha salutato i feretri. Il corteo funebre ha percorso via Flavia, che costeggia il Colosseo per poi proseguire in via di San Gregorio, viale Aventino, via Ostiense e raggiungere la Basilica di San Paolo, per le esequie. Lungo tutto il percorso sono state collocate 2.500 bandiere tricolore e molti cittadini hanno accolto l'invito del sindaco di Roma Gianni Alemanno, ad esporre le bandiere italiane alle finestre. Silenzio e commozione hanno accompagnato passaggio del corteo funebre. Molti i negozianti che abbassano le serrande in segno di rispetto. Il traffico romano al passaggio si blocca: tanti gli automobilisti che si fermano, scendono dall'auto e, unendosi ad altri cittadini, applaudono per rendere omaggio alle vittime.
Decine e decine di persone sono arrivate alla Basilica di San Paolo, nella quale sono già schierati reparti militari. Molti di loro hanno deciso di rimanere fuori dalla chiesa e aspettano pazientemente l'arrivo delle bare dietro le transenne: «Per me sono tutti fratelli - dice con la voce rotta dal pianto, Alfeo Cassiani - sono venuto dall'Umbria e c'ero anche ai funerali dei ragazzi di Nassiriya. Questa missione deve finire, portiamoli via questi ragazzi, portiamoli a casa». Accanto ad Alfeo c'è Fernando, 72 anni, che ricorda quando era nell'Esercito, reparto Artiglieria: «Basta - dice - troppi morti, troppe vite spezzate. Che tornino tutti a casa». Tra la folla, anche un docente di Latino e Greco che mostra un tricolore con su scritto 'Quo gloria et fas docunt', ovvero «Dove la gloria e il destino ci conducono». I familiari delle sei vittime sono entrati nella Basilica accolti dagli appplausi (...)
I feretri dei sei parà sono stati portati a spalla da commilitoni fuori dalla basilica di San Paolo. Il corteo funebre è preceduto da due corazzieri in alta uniforme che portano la corona di fiori del Presidente della Repubblica. Dietro le bare i familiari delle vittime. Poi le Frecce Tricolore hanno reso omaggio ai sei parà passando sui cieli di Roma lasciando in cielo la scia tricolore. Le Frecce Tricolori hanno sorvolato prima in orizzontale e poi in verticale componendo una croce. Intanto le bare dei militari uccisi venivano portate fuori accompagnate dal grido "Folgore, Folgore"
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